BIOGRAFIA VIRGILIO GUZZI
Virgilio Guzzi, nato a Molfetta (Bari) nel 1902; è scomparso a Roma nel 1978. Pittore, critico d’arte, saggista. Nella capitale giunse attorno al 1910. Le prime esperienze creative le ha avute con la scultura. Ha scritto “Finalmente la creta. Chi me la procurava era un’amica di mia madre, che conosceva Rutelli. Erano gli anni della grande impresa del monumento a Vittorio”. Il padre Domenico, quindi lo accompagna dallo scultore Arturo Dazzi, impegnato a Roma per i bozzetti, proprio del monumento a Vittorio Emanuele. Sarà alla fine degli anni Venti che, dopo la laurea in lettere e filosofia conseguita nel 1926 con Adolfo Venturi e Giovanni Gentile, esporrà per la prima volta i propri dipinti. Nel 1929, infatti dopo essere stato tra il ’27 e ’28 ad Anticoli Corrado, presenta una Natura morta alla I Mostra del Sindacato Laziale fascista degli Artisti. Nel 1930 Gli alberi, Nudo e L’uva sono alla II Sindacale (rassegne cui partecipa fino al 1940), mentre nel 1931, con un impegnativo quadro dal titolo Natura, é alla prima Quadriennale d’Arte Nazionale. Cui seguiterà ad essere presente sino al 1972; mentre sarà da rammentare che alla Quadriennale del 1943, inviato con una sala, ottenne uno di quei premi per la Pittura; così come, nel ’35, gli venne assegnato quello per la Critica. Allo stesso modo, per la prima volta nel ’34 (e sino agli anni ’50 quando, invitato, decide di non parteciparvi), espone alla biennale di Venezia. Ed è pur espositore, dagli anni ’30 ai ’50 alle Triennali di Milano.
Avviatosi da una meditazione in chiave ottocentistica (tra i suoi primi interessi sono gli impressionisti francesi, ma anche la pittura di Spadini), Guzzi non ha tardato a maturare la propria visione sulle rive di certo novecentismo, per giungere quindi alla fase della Scuola romana, cui ha dato il suo contributo in prospettiva esistenziale e realista, in questa chiave superando la concezione del tonalismo. Nel 1940, a lui si deve una mostra di gruppo alla “Galleria di Roma” (Guttuso, Guzzi, Montanarini, Tamburi, Ziveri e Fazzini) la quale virtualmente e propriamente ha chiuso la fervida esperienza della Scuola romana per avviare quella del realismo. “Niente più realtà del sogno, ma sogno della realtà”, ha scritto in quel catalogo.
Sin dal 1925 all’attività pittorica Guzzi aveva affiancato quella di critico d’arte, tra gli altri “fogli” collaborando a “Nuova Antalogia”, “Primato”, “Emporium”, “Civiltà”, dapprima quale illustratore, redattore artistico poi, collaborando a “Enciclopedia Italiana”, mentre dal 1945 all’anno della scomparsa, è stato il critico del quotidiano “Il Tempo”.
In questa sede, tuttavia, Guzzi è pittore. In un “profilo” del 1942 (“Beltempo” Edizioni de “La Cometa”) Renato Guttuso aveva affrontato e sciolto il nodo dell’essere, in pari tempo Guzzi pittore e critico: “Tra Guzzi critico e Guzzi pittore – scriveva – c’è di mezzo il fatto che Guzzi è un pittore”. L’artista non ha mai considerato il far pittura lontano dalla lezione del grande passato, da vivificare ovviamente, con gli impulsi del presente. Sarà così che a partire dal 1936, è potuto giungere ad una propria meditazione realistica e seicentista. “Mi chiedi – risponde ad una intervista del 1941 – di Van Gogh, di Picasso, di Matisse, di Cèzanne? Le mie simpatie vanno ad un certo Renoir, quello che più somiglia a Tiziano (per non parlare proprio di Tiziano o di Goja o di Rembrandt. I grossi mi piacciono tutti. Rubens, per esempio, quello che è in Germania, mi ha sbalordito). Ma capisco che gli altri sono più attuali, comunque io vorrei che essi bollissero meno possibile nella mia pentola. Li conosco, s’intende, li ho veduti, toccati con mano, e non solo “sfogliati”. Bisogna dire che chi credesse di farne a meno, di poterli ignorare, avrebbe torto marcio. Ma io sono un pittore realista. Cosa è, mi domandi, questo vero? Figurati una bilancia. Da una parte c’è il vero, dall’altra la mia cultura (la storia dell’art, i Cèzanne, i Picasso ecc. ecc.). Entrambi elementi che considero inevitabili. Bisogna che i due piatti stiano alla stessa altezza: allora va bene. Il vero, il vero soltanto, non esiste”.
Nel 1945 nell’intento di aggiornare i valori dell’arte, con Enrico Prampolini e Josef Jarema fonda “Art Club” (di cui è stato vice – presidente), mentre la pittura, come quella di molti della sua generazione, volge a quelle aperture europee che, richiamandosi ad esperienze fauves , pur propone innesti di memoria cubista. La realtà, in ogni caso, è sempre stata il suo riferimento. Una realtà che si mutava dalla coscienza ch’egli aveva delle “cose”che, per essere tale, non poteva prescindere dalle chiavi della cultura. Così nei dipinti dell’ultima stagione, si avverte, come Guzzi stesso scriveva, una sorta di “cubismo d’après nature”. Intendendo cert’impostazione architettonica d’una immagine del vero e della memoria. “Dipingere dal vero una immagine della memoria, dipingere a memoria una immagine dal vero”. Sino a giungere – si veda la sua ultima opera – ad un’avvertita scomposizione di forme naturale che, tuttavia recuperano la loro unità in termini di interpretazione.
Nel 1963 è chiamato a far parte dell’Accademia Nazionale di San Luca, divenendone presidente nel 1975.